A inizio febbraio 2010 Google ha lanciato un nuovo servizio “social”: Google Buzz.
Il servizio, in questa fase iniziale, è stato integrato in Gmail. In pratica BigG ha trasformato la nostra casella di posta in una sorta di social network, una via di mezzo tra Facebook e FriendFeed.
Il pay-off utilizzato da Google per Buzz è “Oltre i messaggi di stato“. Con Google Buzz, infatti, oltre ai propri aggiornamenti, è possibile condividere foto, video ed iniziare conversazioni con i propri contatti. Google Buzz estrae automaticamente le immagini dai link, riproduce i video inline, e permette di sfogliare rapidamente le foto in formato grande.
Inoltre si può collegare Google Buzz con i propri account Flickr, Picasa, Twitter, Google Reader, e altri ancora.
Il fatto che non sia possibile collegare il proprio account Facebook con Google Buzz lascia pensare ad un possibile dualismo tra i due servizi, soprattutto dopo l’acquisto di FriendFeed da parte di Facebook. Gli account Gmail attivi sono circa 176 milioni e difficilmente Buzz riuscirà a rubare quote di mercato significative a Facebook, che conta circa 400 milioni di utenti.
Subito dopo il lancio di Buzz si sono sviluppate due correnti di pensiero: quelli che lo vedevano come un utile strumento, una valida alternativa a Facebook, Twitter e FriendFeed, e quelli che invece vedevano Google Buzz come una minaccia per la loro privacy.
Si, perché, essendo Google Buzz integrato in Gmail, i contatti vengono prelevati dalla nostra rubrica di posta. Con la funzione auto-following Google voleva facilitare la configurazione iniziale, presentando un account già impostato per seguire alcuni contatti, ma non aveva fatto i conti con gli utenti. Infatti, a seguito dei numerosi commenti negativi, dopo solo una settimana, BigG ha dovuto fare un passo indietro, sostituendo il modello auto-follow (che prevedeva la selezione automatica delle persone da seguire tra quelle con cui l’utente interagisce maggiormente) con il modello auto-suggest.
E tu che ne pensi: sarà un altro flop, sull’onda di Google Wave, o un nuovo successo?
Riccardo Perini