Reputazione online: intervista ad Andrea Barchiesi

andreabarchiesi.jpgAndrea Barchiesi è Managing Director presso Reputation Manager, un marchio di ActValue Consulting & Solutions specializzato nelle tematiche reputazionali e di brand monitoring. Qualcuno lo avrà già conosciuto allo IAB Forum 2009, durante il workshop del 3 novembre, intitolato “Misurazione dei ritorni e degli impatti del Buzz Marketing”. Proprio il buzz è uno dei temi più caldi nel complesso panorama del web 2.0 in cui clienti e agenzie si muovono spesso con una certa fatica, relativa sia alle attività da intraprendere, sia alla misurabilità dei KPI: siamo partiti con la mini intervista precisamente da quest’ultimo punto.

Nella misurazione di un’attività di buzz marketing si privilegiano criteri qualitativi o quantitativi?
Possiamo dire i criteri quantitativi si costruiscono su quelli qualitativi. A monte di ogni campagna di buzz è necessaria la definizione di una metodologia di intervento multicanale incentrata su: obiettivo della campagna (informare, lenire criticità, promuovere), il modello di business dell’oggetto da “buzzare”, la sua relazione con i target di riferimento. La strategia così pianificata ci consente di individuare i luoghi e gli oggetti di discussione e confronto, così da poter stimare in termini quali-quantitativi l’effettivo impatto del buzz marketing in base alla relazione tra tipologia di stimolazione e feedback ricevuti.

Il mercato italiano è pronto per un approccio più “etico” al buzz, che vada oltre la mera” infiltration”?
Dipende dai settori. Le aziende che forniscono servizi si stanno avvicinando sempre di più a un approccio etico perché si rendono conto di quanto i clienti si siano trasformati in utenti attivi che utilizzano la rete per testimoniare il gradimento della relazione con l’azienda, pensiamo per esempio a quanti si lamentano ogni giorno del servizio clienti e dell’assistenza ricevuta da grandi aziende.
Al contrario per i prodotti di largo consumo è ancora preferito il sistema di infiltration, semplicemente perché le problematiche legate a singoli prodotti sono più facili da gestire in anonimato in quanto più “lontane” dall’immagine aziendale, rispetto all’identificazione prodotta dai servizi di assistenza.

Qual è, se c’è il settore più confacente al buzz marketing e qual è quello meno adatto?
Più che di settore parlerei di canali e di opportunità: tutti potenzialmente possono essere soggetti e oggetti di buzz marketing, ma non dappertutto e non su qualsiasi cosa. Le regole sono dettate sempre dalla rete: i canali istituzionali (il sito di un azienda o quello di un’ associazione) sono più chiusi rispetto ai portali informali come blog e forum, e anche in questi contesti è da valutare se i contenuti particolarmente delicati si prestino a un’azione di buzz marketing o piuttosto a un intervento istituzionale in altra sede.

Senza fare nomi, un caso di successo ed un caso disperato?
Senza fare nomi, posso dire che sia il successo strepitoso sia la macchia indelebile si producono in rete per la stessa ragione: la viralità. Un contenuto molto diffuso in rete per iniziativa spontanea degli utenti ha l’effetto di un catalizzatore, la capacità di attrarre altri utenti e agganciare nuovi contenuti che ne reiterano il valore all’infinito, perché tale è la memoria in rete. Meglio ricordarsene per tempo, perché i contenuti virali sono difficili da inseguire, e impossibili da fermare.