Terzo di una serie di cinque articoli
Questa serie di articoli è ripresa da quella che ho scritto nel 1992 per DORLAND NEWS, l’house organ di DORLAND-AYER, la più grossa agenzia per la quale ho lavorato, house organ di cui avrei assunto la gestione operativa alcuni mesi più tardi.
Lo scopo non è tanto quello di ripercorrere le tappe storiche della comunicazione di impresa, quanto piuttosto di capire il perché e il come di una evoluzione a valanga.
La terza generazione: i “Persuasori Occulti” e la suggestione
È solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, con il conseguente crollo del vecchio ordine politico, sociale ed economico e la conseguente “colonizzazione” culturale ed economica dell’Europa impoverita da parte americana, che anche da noi si sviluppa il marketing vero e proprio che, negli Stati Uniti, intanto, sta subendo nuove e più importanti trasformazioni.
Come la teoria economica insegna, per ciascun mercato esiste la tendenza, da parte del leader, a raggiungere una posizione di monopolio, quando non ne è impedito da fattori limitanti di natura politica. In America, con la spinta economica e produttiva dovuta alle commesse belliche e ai programmi di assistenza per le nazioni sconfitte, ma non solo ad esse, si sono sviluppate industrie con potenzialità multinazionali che, presto, si sono stabilite nei territori in cui erano di stanza i G.I. Questo ha avuto come conseguenza la nascita del marketing strategico secondo la scuola di Boston (Boston Consulting Group), e di politiche produttive non più basate su un unico prodotto, o su una sola marca. I grandi complessi industriali americani, anche se all’epoca non sentivano ancora la necessita di acquistare filiali all’estero, avevano tuttavia già posto le premesse per la loro espansione in tutto il mondo, iniziando la loro ragnatela globale.
Questo è il periodo in cui iniziano a prendere piede i punti vendita di grande superficie, come i supermercati e gli ipermercati, che si sostituiscono, poco per volta ai dettaglianti tradizionali. In essi, evoluzione dello spaccio di paese come quelli dei film western, il commesso è praticamente inesistente e bisogna sopperire alla carenza dell’usuale consigliere d’acquisto con nuove forme di stimolo.
È la pubblicità la protagonista principale di questa evoluzione del marketing, anche se, innanzitutto, è alle ricerche di mercato che viene chiesto di fornire non più solo la composizione del pubblico, la sua propensione all’acquisto e le motivazioni palesi per tale comportamento, ma anche, attraverso l’uso della tecnica psicoanalitica, di recente introduzione, di definire il rapporto inconscio tra il consumatore e i prodotti, e anche con l’azienda produttrice. la speranza , come denuncia con veemenza Vance Packard in un libro che ha fatto epoca, anche se solo per il suo tono scandalistico, “I Persuasori Occulti“, di riuscire a stabilire un rapporto meccanico tra comunicazione e azione nel consumatore.
Le ricerche motivazionali di Ernest Dichter scoprono sì un universo di legami inconsci tra i soggetti analizzati e i prodotti di consumo, ma ci si rende rapidamente conto che, né i meccanismi behavioristici, né la psicologia della gestalt possono essere usati come si era sperato, per creare dei riflessi condizionati di tipo pavloviano. Anche se la dissonanza cognitiva, ovvero, quella tecnica espressiva che tende a creare uno stato di malessere nel destinatario della comunicazione commerciale perché esso vi ponga rimedio acquistando l’oggetto che è la causa del suo stato di angoscia, ha effetto solo finché il soggetto è in uno stato di ipersensibilità. Tuttavia ci si rende effettivamente conto che, nella nuova organizzazione del punto vendita, i meccanismi inconsci sono quelli che guidano il consumatore all’acquisto d’impulso.
Inoltre, un’altra nuova tecnica di ricerca, l’analisi psicografica, permette ora di verificare anche i rapporti di valore delle diverse fasce di consumo, non più divise unicamente per gruppi socio-economici, ma soprattutto per gruppi di affinità culturale. Nascono i concetti di target e di segmentazione del mercato, che permettono una più spinta ottimizzazione delle risorse produttive, della distribuzione e della spesa promozionale.
Per adeguare la comunicazione alla nuova impostazione del commercio, le agenzie di pubblicità producono nuove forme di approccio: essenzialmente vengono sviluppati due nuovi concetti. Il primo è di natura essenzialmente tecnica, la campagna pubblicitaria integrata, ovvero una serie di azioni di comunicazione articolata su più media e destinata ad assicurare la copertura in tutte le fasi della vita del prodotto e in tutto il ciclo di consumo, concetto espresso con la cosiddetta formula D.A.G.M.A.R. (Definining Advertising Goals for Measured Advertising Results – Definizione di Obiettivi di Comunicazione per l’Ottenimento di Risultati Quantificabili) per la pianificazione delle strategie, e del modello AIDA per stimolare gli acquisti d’impulso. Azioni che, oltretutto, si avvalgono del grosso successo del nuovissimo arrivato nel settore dei media, la televisione, con la sua altissima capacità di penetrazione e di segmentazione del pubblico a seconda delle fasce d’ascolto, ma con costi iniziali d’acquisto degli spazi estremamente elevati, causa il passaggio, nella pianificazione e nell’acquisto dei media, dal concetto di costo contatto a quello di Gross Rating Points (G.R.P.), ovvero del numero di contatti in target, e a tecniche basate contemporaneamente sulla valutazione di dati di statistica macroeconomia e sulle tipologie di consumo dei prodotti, per l’elaborazione delle quali, oltretutto, si inizia ad avvalersi dell’assistenza di un altro nuovo miracolo della tecnologia, il computer.
La seconda innovazione è di ordine creativo. Nell’elaborazione delle strategie creative vengono introdotti concetti che rispondono ai nomi di Claim, Positioning, Consumer’s Benefit, Reason Why, Plus, Brand Image, Desired Consumer Response e Tone of Voice.
I personaggi chiave di questo periodo della storia della pubblicità sono soprattutto copywriter, come Rosser Reeves della Ted Bates, creatore della formula detta “Unique Selling Proposition” (U.S.P.), secondo la quale il prodotto deve essere venduto per una sua proprietà esclusiva, vera se esistente, o creata ad hoc se esso non presenta alcuna caratteristica di rilievo. Reeves, però è ancora un pubblicitario della vecchia scuola, sostenitore della vendita aggressiva, sempre meno accettata dai consumatori.
Siamo arrivati agli anni sessanta, il periodo della contestazione e dell’anticonsumismo ad oltranza. L’industria scopre che non può più considerare i consumatori esclusivamente come soggetti passivi, ma che ormai deve restituire sotto forma di immagine e di gratificazioni per gli utenti una parte dei sui crediti.
E la pubblicità sforna nuovi eroi, quali David Ogilvy, che nel suo libro “Confessioni di un Pubblicitario“, uscito nel 1963, è il primo personaggio della pubblicità a rivolgersi al grosso pubblico per spiegare i “segreti del mestiere”, o come Bill Bernbach, il primo direttore d’agenzia a privilegiare la creatività pura piuttosto che quella condizionata dai copy-test e dalla redemption, e che ha prodotto campagne storiche, come quelle della Volkswagen, proseguita per un lunghissimo numero di anni con la stessa impostazione, modificando, volta per volta, unicamente il soggetto degli annunci.
Verificate anche su The Advertising Century di Advertising Age.
Guarda i primi due articoli dedicati alle 5 generazioni della pubblicità:
– La prima generazione: l’informazione pubblicitaria
– La seconda generazione: la “Pubblicità scientifica”, o della persuasione