L’autopromozione e il rischio dell”ecoismo” nel web 2.0

lie.jpgDire che il web 2.0 facilita l’autopromozione può sembrare scontato. Blog e social network concedono a chiunque quel “quarto d’ora di celebrità” che prima era magari conquistato con molta più fatica e a caro prezzo. Oggi promuoversi sembra molto più semplice rispetto all’epoca del cartaceo e del web 1.0.

L’informazione viaggia molto velocemente e, grazie alla molteplicità di canali, è facile diffondere il proprio messaggio ed amplificarlo: basta pensare a come sia facile scrivere un post e segnalarlo ai vari aggregatori che portano traffico o ai social più frequentati come Facebook e Twitter. C’è chi automatizza il processo di diffusione grazie alle varie applicazioni per feed: tecnicamente è un percorso ineccepibile.

Ma a volte proprio la possibilità di dare eco al proprio messaggio diventa una bramosia così grande che copre il contenuto del messaggio stesso. Il desiderio di amplificazione, di aumento delle basi di ascolto, porta spesso a seguire cliché di successo che uccidono l’originalità. Il riportare la stessa notizia, la stessa opinione, lo stesso link, solo per mettersi in luce su piazze virtuali diverse, non è affatto social, anzi, nella sua degenerazione è anti-social, è quello che nel titolo del post ho chiamato “ecoismo”: la voglia matta  di occupare gli spazi sociali con i propri contenuti, qualcosa di simile all’opera dei graffitari più spinti e border line, che deturpano con le proprie scritte i monumenti famosi. Esserci, mettere la firma, apparire: quando l’autopromozione si ferma qui, dimenticando il ruolo fondamentale dei contenuti e della maniera di porsi e relazionarsi, allora diventa “ecoismo”.

Ci sono forme ingenue di “ecoismo”, come le firme dei blog in cui si sottolinea la propria professione o il contenuto del proprio sito, oppure quelle di pura e sterile amplificazione, come gli autofeed su Twitter e Facebook. Ma ci sono manifestazioni più sottili, come quelle che presentano ogni esperienza vitale come legata al web, laddove anche gli eventi più banali o, al contrario più intimi, sono diffusi e pubblicati solo per avere un’eco di ascolto: strano destino quello dei social media, sembrano involontariamente prendere a modello i mass media, portandosi dietro tutti i difetti che ne fanno oggetto di critica.
Ma allora, come fuggire dall'”ecoismo”? La chiave è già stata accennata: l’originalità. Invece di promuovere la copia di se stessi, occorre promuovere l’originale, l’autentico.

E’ qui che sta il plusvalore. Tre consigli in merito.

– Scegliere bene i contenuti e personalizzare il messaggio a seconda del mezzo, usando linguaggi diversi per mezzi diversi.

– Valutare dove apparire e dove non apparire: gli spazi di latenza sono a volte più significativi degli spazi di sovraesposizione superflua

– Tenere conto della diversità degli interlocutori e ricordare che la promozione ha come fine gli altri e non se stessi: sono gli altri che devono dare il consenso.

L’originalità è un valore in sé, che va ben oltre la questione dei contenuti duplicati. La ripetizione pedissequa di concetti, la messa in luce di aspetti secondari, fatti solo per apparire, l’accumulo del superfluo, promuovono soltanto il protagonismo di quel clone, di quel “tu” egoista che non sei Tu e che troppo spesso si relaziona solo con se stesso.